In oltre metà delle terre emerse lontane dai tropici, la disponibilità di acqua è diminuita rispetto ai primi 50 anni del Ventesimo secolo: è l'effetto di un'alterazione nel ciclo idrogeologico causata dal cambiamento climatico, a sua volta determinato dalle attività umane.
Ormai non ci sono più dubbi: il cambiamento climatico indotto dalle attività umane ha un impatto notevole sul ciclo idrogeologico, determinando una diminuzione della disponibilità di acqua sulla terraferma durante la stagione secca. La conferma viene da un nuovo studio pubblicato su “Nature Geosciences” da un gruppo internazionale di ricercatori tra cui Daniele Peano, della Fondazione Centro euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici (CMCC) di Bologna, che è riuscito per la prima volta a escludere dalle elaborazioni l'influenza della variabilità climatica naturale.
La ricerca ha analizzato i cambiamenti nella disponibilità media globale di acqua sulla terraferma, che si ottiene calcolando la differenza tra precipitazioni ed evapotraspirazione, cioè la quantità di acqua che dal terreno passa all’atmosfera per effetto sia della traspirazione dei vegetali sia dell’evaporazione dal terreno.
Gli autori hanno utilizzato una serie di modelli della superficie terrestre e di mappe globali della disponibilità idrica misurata tra il 1902 e il 2014, periodo durante il quale il nostro pianeta ha subito un incremento della temperatura media di circa 1°C. Hanno confrontato in particolare i dati del mese più secco del periodo 1902-1950 e il recente trentennio 1985-2014.
Dai modelli è emerso che nel corso degli ultimi 100 anni la disponibilità di acqua durante la stagione secca è aumentata in alcune regioni, ma è diminuita in quasi il 60 per cento, soprattutto nelle terre emerse lontane dai tropici, con una media complessiva nel segno della riduzione. A soffrire di più sono state l'Europa, il Nord America occidentale, l'Asia settentrionale, il Sud America meridionale, l'Australia, le Ande settentrionali e l'Africa orientale. D'altro canto, i dati sull’umidità invece ne indicano un aumento in oltre il 40 per cento delle aree terrestri, tra cui l'entroterra cinese, il Sud-est asiatico e il Sahel.
Ma il risultato forse più importante dello studio è che dietro questi cambiamenti non c’è una diminuzione delle precipitazioni, ma un aumento dell'evapotraspirazione, e soprattutto che la variabilità naturale non è sufficiente a spiegarli.
"Con la nostra analisi, in diverse serie di esperimenti, abbiamo confrontato la distribuzione spaziale della disponibilità di acqua in tre diverse configurazioni: il mondo pre-industriale, prima del 1850, il mondo come lo osserviamo oggi, influenzato sia dalla variabilità naturale sia da quella indotta dall'uomo, e infine il mondo che osserveremmo oggi se il clima fosse stato influenzato solo dalla variabilità naturale", ha spiegato Peano.
"Le simulazioni indicano che, con o senza l'attività umana, le situazioni all'inizio del Ventunesimo secolo sono completamente diverse, mentre il mondo pre-industriale non è invece così differente da quello che avremmo avuto oggi senza l'influenza antropica sul sistema climatico. Così, abbiamo escluso l'impatto della variabilità naturale, stabilendo che l'influenza umana è l'unica spiegazione per i cambiamenti nella disponibilità di acqua sulla terra dall'era pre-industriale ad oggi".
da lescienze.it
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