Il simbolismo dell'albero




di Massimo de Magistris


 “Io so che esiste un frassino

chiamato Yggdrasil,

un alto albero, bagnato di

bianca brina;

di là derivano le rugiade

che cadono nelle valli

e sempre verde sta presso la

fonte di Urdh”


In questo testo dell’Edda, raccolta di mitologia norrena, il Cosmo è visto in forma di Albero gigantesco.

Questa immagine trova numerosi paralleli in diverse tradizioni culturali e religiose; infatti si possono incontrare alberi sacri, riti o simboli di natura vegetale nella storia di innumerevoli tradizioni di molti paesi anche senza che questi abbiano sperimentato una qualsivoglia forma di contatto. È ricca l’iconografia, l’arte popolare, la metafisica e la mistica arcaica di ogni latitudine di questo imponente elemento naturale che da sempre ha suscitato nell’uomo stupore e ammirazione.

Ma che funzione ha l’Albero, la vegetazione o un simbolo vegetale nell’economia di una tradizione? Cosa rivela di particolare e cosa vuole significare?

Affidandosi alla Sapienza che ha animato il sentire di popoli anche molto differenti tra loro, è effettivamente riscontrabile un accostamento saldo tra l’Albero e un significato di natura cultuale.

In molte culture l’Albero rappresenta un microcosmo compiuto, in altre è icona del Cosmo stesso nella sua interezza (come l’esempio riportato nell’Edda), in altre ancora rimanda al simbolismo della vita, della fecondità del Reale oppure alla fonte dell’immortalità. Non ultimo e particolarmente diffuso è il rinvio al Centro del Mondo, pilastro dell’Universo o simbolo della resurrezione continua della vegetazione, della stagione primaverile o della rigenerazione stessa dell’uomo.

È evidente la ricchezza di significati che l’Albero richiama, in particolare la ciclica rinascita del Cosmo che apparentemente, ciclicamente, sembra sfiorire e morire, ma poi prontamente si risveglia e rigenera in una continuità senza interruzione di fasi crescenti e decrescenti.

Per la mentalità arcaica non esiste natura senza simbolo che la richiami: l’Albero, nello specifico, non è mai venerato in quanto tale, quale che sia la sua tipologia o quale sia la cultura che ne pratichi il culto, ma sempre e solamente per quello che “rivela” di altro: superando ciò che manifesta, l’Albero diventa così oggetto religioso, carico ontologicamente di forze sacre. È, infatti, verticale, cresce, perde il fogliame e lo recupera rigenerandosi (potremmo dire che muore-risorge ciclicamente); gli antichi non potevano rimanere indifferenti o ciechi di fronte a questa realtà a cui hanno subito attribuito un carattere metaforico-simbolico. Infatti, la contemplazione delle pure funzioni biologiche e naturali della vegetazione, ad un occhio “attento” rivelava un valore mistico, perché in esse si ritrovavano le operazioni stesse dell’intero Cosmo. Per la coscienza religiosa di moltissimi popoli, va ribadito, l’Albero è l’Universo stesso: lo ripete e lo riassume mentre lo simboleggia.

Ragionando in prospettiva olistica, potremmo dire che se il Tutto esiste all’interno di ciascun frammento è perché ogni frammento ripete in sé il Tutto. L’Albero si inserisce in quest’ottica: come riflesso del Tutto (il Cosmo), ripete in sé l’andamento del Tutto. Come elemento che si rigenera periodicamente, manifesta la potenza sacra nell’ordine della Vita, che opera incessantemente e ovunque. Un’interessante rappresentazione di questo concetto ci perviene dalla cultura indiana. Nelle Upanişad, l’Universo intero è proprio un Albero rovesciato che affonda le sue radici nel Cielo e stende i suoi rami sulla Terra intera (Rgveda 1,24,7). Rappresenta la manifestazione del Brahman Assoluto nel Cosmo, in cui il Tutto attinge l’Essere dall’Uno/Spirito, sprofondando in esso allegoricamente le radici. Senza tale linfa, nulla sarebbe e nulla sussisterebbe. O meglio: laddove questa Origine fosse dimenticata o non conosciuta, ogni vita sarebbe solamente illusione e alienazione, frammentazione e separazione dall’organicità del Tutto. Il che significa: sarebbe Nulla. 

Analogamente, nella Bhagavad-gita, l’Albero cosmico richiama anche la condizione dell’uomo nel mondo: anche qui l’uomo non si può pensare distaccato dal Cosmo, ma come sua manifestazione, come epifania dell’Unico Brahman. La separazione dalla vita del Tutto è quindi impensabile. Per concludere questo breve itinerario alla ricerca di una comprensione più complessa della realtà possiamo affermare che Nulla esiste separato dall’Albero; fuori dalla Vita, nulla può sussistere. 

In ultimo un riferimento al discorso che nel vangelo di Giovanni Gesù rivolge ai suoi discepoli usando, guarda caso, proprio la stessa analogia “vegetale”: «Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me.

Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla» (Gv 15, 4-6). Anche qui, come sopra, nulla esiste separato dall’Albero; fuori dalla Vita, nulla può sussistere.

Commenti