IL DOCUMENTO SULLA FRATELLANZA UMANA PER LA PACE MONDIALE E LA CONVIVENZA COMUNE



di Massimo de Magistris

«Dio non è
né questo né quello».

Meister Eckhart, Sermone 9, Opere tedesche



Poco più di un anno fa, il 4 febbraio del 2019, ad Abu Dhabi papa Francesco e il Grande Imam di Al-Azhar Ahmed Al-Tayyib, titolo più prestigioso del mondo islamico sunnita e la più importante carica ufficiale religiosa dell'Egitto sunnita, hanno firmato lo storico Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, passo importante nelle relazioni tra cristiani (circa 2,5 miliardi nel mondo, cattolici, protestanti e ortodossi) e musulmani (1,8 miliardi, sunniti tra l’87 e il 90% e poi sciiti).
Per Mohammad Ali Shomali, fondatore e direttore dell’Istituto internazionale di studi islamici a Qom, è sicuramente tra i più importanti documenti interreligiosi del XXI secolo. Shomali è un leader religioso iraniano molto impegnato a promuovere valori come dialogo, fraternità e pace. La sua prospettiva sul documento è molto interessante perché intercetta quella che sola è la radice della possibile convivenza: l’abbandono dell’egocentrismo sia esso personale o esteso ad una qualsivoglia comunità.
Shomali in una recente intervista al settimanale Famiglia Cristiana ha affermato che tra cristiani e musulmani si sta creando un’atmosfera di reciproco riconoscimento e fiducia. Tuttavia i contenuti del testo possono tranquillamente essere rivolti a tutti gli uomini e tutte le donne di buona volontà.


A un anno da quel documento, che richiederebbe studio e assimilazione nelle comunità sia cristiane sia musulmane nel mondo, Shomali nota che però il solo dialogo non può essere sufficiente. Esso è un passo troppo ridotto se fine a se stesso e non proteso a raggiungere una sorta di unità per favorire un lavoro comune su questi temi. Occorre tornare al concetto di “famiglia”, una famiglia che è stata separata e che spetta a noi ripristinare. Ma in che modo?
La strategia non è solo nell’abilità politica, ma va radicata a un livello più profondo, più essenziale: superare il nostro ego sia personale sia riferito ad una comunità o gruppo religioso.
È un cammino propriamente spirituale che non fa sconti a nessuno, che interpella tutti e che deve arrivare al punto di mettere a tacere noi stessi per porsi nella visione unitaria e universale di Dio. Shomali adopera questa immagine: ascoltare Dio insieme, con un orecchio musulmano e un orecchio cristiano, consci che Dio ha parlato all’umanità attraverso tradizioni religiose e culture differenti con il linguaggio delle fedi, ma anche con quello della bellezza, dell’arte e anche della scienza. Un ascolto solipsistico, individualistico e autocentrato è carente di discernimento, saggezza e grandezza d’animo e non conduce a quell’ampio respiro che i mistici autentici dell’Islam e anche del cristianesimo hanno sperimentato e comunicato. Dio non è musulmano, né cristiano, non sottostà a determinazioni riduzionistiche frutto della parzialità appropriativa del nostro sguardo e del nostro piccolo “io”: il Dio che deriva da queste prospettive limitate è solo una mera proiezione incapace di coglierne l’Assoluto nel senso etimologico di “assenza di legami” - ab-solutus. Se Dio diventa “il mio Dio”, allora si instaura una gerarchia: sono io importante, il mio popolo è il più importante e la mia nazione diventa prioritaria. In una visione genuina, al contrario, non darò rilievo a me stesso, al mio gruppo, alla nazionalità, ma si darà spazio ad una visione universale che sola è in grado di prefigurare l’idea di fraternità. Occorre, infatti, che il Dio delle nostre determinazioni storiche, culturali, sociali e psicologiche muoia (parafrasando il Vangelo, ma anche i grandi mistici, come anche le provocazioni di Hegel, Nietzsche e molti altri) affinché lo Spirito irrompa. Alimentare le relazioni umane, la costruzione di identità e comunità sociali e religiose non autocentrate sarà l’unica risposta efficace per costruire una convivenza autentica.

Che cosa farò, musulmani? Non mi riconosco più.....
Io non sono né cristiano né ebreo, né magio né musulmano.
Io non sono dell'Est né dell'Ovest, né della terra né del mare.
Io non provengo dalla miniera della natura
né dalle stelle orbitanti.
Io non sono della terra o dell'acqua, del vento o del fuoco.
Io non sono dell'empireo né della polvere su questo tappeto.
Io non sono del profondo né dell'oltre.
Io non sono dell'India o della Cina, di Bulghar o di Saqsin.
Io non sono del regno dell'Iraq né della terra del Khorasan.
Io non sono di questo mondo né dell'altro, non del cielo né del
purgatorio.
Il mio luogo è il senza luogo, la mia traccia è la non traccia.
Non è il corpo e non è l'anima, perché appartengo all'anima del mio
amore.
Ho riposto la dualità e visto i due mondi come uno.
Uno io cerco, Uno conosco. Uno io vedo, Uno chiamo.
Egli è il Primo, egli è l'Ultimo.
Egli è l'Esterno, egli è l'Interno.

Jalāl ad-Dīn Moḥammad Rūmī

Commenti