di Massimo de Magistris
Lo scorso sabato 17 aprile si è tenuto in modalità online il convegno “Custodire le nostre terre. Salute, ambiente, lavoro”, promosso dalla Commissione Episcopale per il servizio della carità e la salute, dalla Commissione Episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace, dai Vescovi della Conferenza Episcopale campana, dagli Uffici Nazionali per la pastorale della salute e per i problemi sociali e il lavoro, e dalla Caritas italiana.
L’urgenza di una riflessione congiunta che ha voluto coinvolgere diverse realtà ecclesiali, pensata e articolata sul tema dell’inquinamento in Italia, è scaturita da una serie di dati allarmanti: sulla totalità delle 227 Diocesi presenti in Italia, in ben 78 ricadono i 42 “Siti di Interesse Nazionale per le bonifiche”, censiti dal Ministero per la Transizione Ecologica. Ciò significa che circa un terzo delle Diocesi italiane si trova attualmente a vivere e ad affrontare situazioni in cui, come si è sottolineato nel comunicato finale dell’evento, «a quanti stanno soffrendo per il virus si deve aggiungere la solidarietà per chi vive sulla propria pelle gli effetti dannosi dell’inquinamento». Ignorare o sottovalutare un’emergenza di questa portata a livello pastorale, sociale, politico, porterebbe alla semplice irrilevanza la presenza, e quindi l’azione, anche dei cristiani in territori che si trovano in tali contesti. Ricorda infatti lo stesso comunicato: «Le nostre terre, da Nord a Sud, risultano contaminate da diversi fattori, con ampie conseguenze sulla salute, in particolare dei giovani e dei più poveri. Di fronte a questo dramma, la reazione delle istituzioni e della politica è stata spesso percepita come poco incisiva e distante dai bisogni della popolazione. È altrettanto vero che non ci sono stati né una sufficiente educazione alla custodia del creato né, in generale, un grande coinvolgimento da parte della comunità ecclesiale». In relazione a questo coinvolgimento richiesto alle comunità ecclesiali, diventa dunque impellente chiederci: a che punto viviamo quella “cura integrale” che dovremmo promuovere come credenti? Quanto fa parte della pastorale dei nostri territori e delle nostre Diocesi «l’impegno per i poveri più abbandonati e maltrattati, tra cui c’è la nostra oppressa e devastata terra» (LS 2)?
Basterebbe già solo questo per tornare con rinnovato vigore alle esortazioni che Papa Francesco ha espresso nella Laudato si’, dove provoca senza mezzi termini: «Alcuni cristiani impegnati e dediti alla preghiera, con il pretesto del realismo e della pragmaticità, spesso si fanno beffe delle preoccupazioni per l’ambiente. Altri sono passivi, non si decidono a cambiare le proprie abitudini e diventano incoerenti» - eppure, continua - «vivere la vocazione di essere custodi dell’opera di Dio è parte essenziale di un’esistenza virtuosa, non costituisce qualcosa di opzionale e nemmeno un aspetto secondario dell’esperienza cristiana» (LS 217).
Un recentissimo bel libro delle Edizioni Terra Santa, getta luce su questa “vocazione”: Preti verdi. L'Italia dei veleni e i sacerdoti-simbolo della battaglia ambientalista del giornalista Mario Lancisi. Si tratta di un libro-inchiesta che fa conoscere l'Italia dei veleni e delle morti di tanti innocenti a causa dell’inquinamento ambientale, e lo fa per mezzo delle denunce di tanti preti e tanti cittadini coraggiosi. In tutto il nostro paese, in numerose regioni come la Sicilia, la Campania, la Puglia, la Toscana, il Veneto o il Piemonte, si moltiplicano le emergenze ambientali e sanitarie: dal petrolchimico nel golfo di Augusta ai rifiuti tossici della ben nota Terra dei fuochi, dall'acciaio all'amianto fino ai pesticidi e alle innumerevoli discariche abusive. Don Albino Bizzotto, don Michele Olivieri, don Maurizio Patriciello, padre Nicola Preziuso, don Palmiro Prisutto, don Gabriele Scalmana, don Giuseppe Trifiro' e molti altri… una lunga litania di uomini che hanno deciso di prendersi “cura”, di accompagnare gli oppressi di tanti nostri territori con mitezza, ma anche con la fermezza di chi profeticamente denuncia l’ingiustizia, sapendo di porsi in conflitto con coloro che hanno fatto del proprio profitto l’unico valore da perseguire.
«Sotto accusa», infatti, tuona padre Massimo Nevola - gesuita, assistente nazionale presso la LMS, Lega Missionaria Studenti - «c’è un preciso modello di sviluppo che per alimentare se stesso non ha avuto scrupoli a inquinare più della metà del pianeta, tacitando scienziati, ridicolizzando profeti, calpestando popoli e distruggendo, anche con l’eliminazione fisica, chi ha tentato di opporvisi».
Siamo ancora così convinti, dunque, che i temi relativi all’ambiente di vita siano appannaggio solo di alcuni? O siamo coscienti che «La cultura ecologica non si può ridurre a una serie di risposte urgenti e parziali ai problemi che si presentano riguardo al degrado ambientale, all’esaurimento delle riserve naturali e all’inquinamento - ma - dovrebbe essere uno sguardo diverso, un pensiero, una politica, un programma educativo, uno stile di vita e una spiritualità (LS 111)»?
«Oggi, non domani» - ha ricordato papa Francesco nella videointenzione di preghiera per il mese di settembre che apriva la Giornata per il Creato 2020 - «oggi, dobbiamo prenderci cura del Creato con responsabilità».
Oggi, non domani!
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