La pace è partecipazione all'armonia del ritmo dell'Essere (di Ramon Panikkar)

 



di Massimo de Magistris

Il libro di Ramon Panikkar PACE E INTERCULTURALITA', Una riflessione filosofica (Jaca book, Milano 2002) è un lavoro straordinario che, come sempre nei testi dell'Autore, fornisce chiavi di lettura capaci di scardinare i luoghi comuni presenti a vario titolo nei sistemi di pensiero attuali e non solo. Il complesso tema della pace viene letto nel solco del concetto di Interculturalità uscendo dai paradigmi del semplice dialogo o dell'ascolto reciproco per generare percorsi integrali capaci di trasformare dall'interno questa visione cogliendola nella sua interconnessione con il tutto.

Di seguito uno stralcio del volume:




Pace non significa assenza di forza o di polarità. La pace non fa violenza al ritmo della realtà. Nonviolenza non significa, tuttavia, atteggiamento puramente passivo di permissività, assenza di resistenza o mancanza di forza o persino di potere, bensì rispetto, non violazione della persona e, più ancora, della dignità intima di ogni essere. 

La pace non implica l'omogeneizzazione di tutto, ma significa piuttosto partecipare e contribuire al ritmo costitutivo della realtà

L'uomo non è soltanto un essere sociale; egli è anche un essere cosmico - anzi cosmoteandrico. Siamo anche noi responsabili dell'armonia dell'universo: lo miglioriamo e lo trasformi amo cooperando con esso. Questa cooperazione, questa sinergia, è al contempo attiva e passiva, vale a dire noi prendiamo parte sia in modo attivo sia in modo passivo all'avventura dell'essere, come nella danza si crea il movimento seguendo la musica. Questa avventura non è un cammino lineare verso un punto omega finale, né una regressione verso un punto alfa indiscriminato e originario. 

La pace non è né escatologica né lo stato mentale di chi ha "scoperto" la vanità di tutte le cose "transeunti". Il senso della nostra vita non va ricercato solo nel suo fine e la giustificazione delle nostre azioni nel loro successo finale, né d'altra parte possiamo accontentarci di soddisfazioni momentanee. Beati quelli che trovano la meta nello stesso cammino. Il "fine" della vita si trova nel camminare. L'avventura dell 'essere non è né una evoluzione verso il futuro né una involuzione verso il passato. La pace, come l'essere, non è né statica né dinamica, né tanto meno l'essere si muove dialetticamente fra questi due stati in modo più o meno latente. L'essere è ritmico e il ritmo è l'integrazione a-dualista di movimento e di quiete, di tensione verso la meta e di possibilità di goderne quando si è ancora pellegrini in cammino. La meta è la fine del pellegrinaggio ovunque ci si trovi - anche oggi. Il ritmo è la natura più profonda della realtà, lo stesso divenire dell'essere, che è tale proprio perché viene a essere. Da una filosofia della pace così concepita scaturisce una critica profonda e costruttiva alla situazione di disagio che si manifesta in campo religioso, ecologico, economico, psicologico e politico. La nostra cultura tecnocratica, che attraverso il culto dell'accelerazione ha trasgredito i ritmi naturali della natura e della mente, ha prodotto una società che , oltre a non avere la pace, ne rende difficile e urgente la realizzazione ai no stri giorni: ciò non vuol dire che in tempi passati non avessero i loro problemi, dai quali possiamo anche trarre lezione. 

Pace non vuol dire mantenere lo status quo rivelatosi ingiusto. Non sto proponendo la guerra contro, ma l'emancipazione dallo "status quo" e la sua trasformazione in un "fluxus quo", un muoversi verso un'armonia cosmica sempre nuova e mai perfetta. Troppo spesso i discorsi sulla pace tendono a diventare sogni idilliaci di un paradiso ideale, dimenticando che l'essenza dell'Eden consiste nell'essere stato perduto e che il destino dell'uomo consiste nel superare, non nel negare, i limiti temporali in cui noi tutti corriamo il rischio di soffocare.



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