Il paesaggio rurale




di Matteo Marcoccia - Comunità Laudato Si' Alatri
docente "Bonifacio VIII" di Anagni, dottore in Scienze Naturali


Il territorio Italiano data la sua profonda eterogeneità geomorfologica e pedoclimatica, presenta

numerose e diverse unità di paesaggio. Le tessere di questa distribuzione alquanto diversificate ci

risultano evidenti anche davanti ad una analisi fitoclimatica territoriale. La costruzione di queste

unità di paesaggio avviene attraverso l’interfacciamento di dati spaziali a diversa scala,

permettendoci di discriminare le diverse variazioni che influiscono sulle stesse.

All’interno di questa diversità “ambientale” troviamo i sistemi di paesaggio rurale, caratteristici per

la loro unicità e struttura.

L’unicità e la struttura di un sistema territoriale ne determinano anche la sua eterogeneità,

caratterizzata dalla distribuzioni di habitat e relazioni ecologiche che permette il sostentamento e

formazione degli stessi.

Il paesaggio rurale deve le sue principali caratteristiche al lavoro dell’uomo che nel tempo ha

caratterizzato l’impronta territoriale, con i suoi diversi rapporti ecologici, in un rapporto simbiotico,

al punto che l’uomo diventa parte del sistema.

Le continue mutazioni di un paesaggio possono essere frutto quanto dell’azione della Natura,

evidenziando formazioni di habitat naturali, quanto dell’azione dell’uomo che con le sue pratiche ha

dato origine ad habitat di origine antropica. In questi ultimi i paesaggi agrosilvopastorali ed urbani ne

sono una chiara riprova. I tempi con cui un ambiente legato all’utilizzo antropico si modifica può

essere breve o lungo, in funzione dell’utilizzo dello stesso e del relativo sfruttamento.

Oggi, ed almeno negli ultimi 50 anni circa, ci troviamo davanti ad un incessante aumento delle aree

urbane, con una conseguente riduzione delle aree naturali e rurali, fatto questo che riduce la

quantità di terreno utilizzabile, aumentando al contempo l’impermeabilizzazione degli stessi. Questi

fenomeni tendono ad aumentare la frammentazione degli habitat naturali aumentandone il disturbo

correlato attraverso una conseguente diminuzione della biodiversità e delle capacità ecosistemiche

offerte da questi ambienti. Il fenomeno di disturbo più evidente, registrato a causa della perdita di

numerosi “spazi” rurali, è quello della scomparsa e riduzione della funzione cuscinetto offerta da

questi tra gli ambienti naturali e quelli fortemente antropizzati. Per descrivere l’importanza del ruolo

di queste “tessere ambientali” non basterebbe una intera trattazione, ma ricordo che essi sono

ricovero di numerose specie animali e vegetali che si sono adattate alle pratiche umane (specie

sinantropiche). Queste stesse specie devono la loro sopravvivenza a pratiche culturali e pastorali che

spesso vanno avanti da diversi decenni e spesso anche millenni. La loro interazione con il lavoro

dell’uomo ha creato strutture e modelli di paesaggio spesso irripetibili, anche perché spesso questo

è legato ad un sapiente utilizzo delle risorse ambientali da parte dell’uomo stesso.

Oggi sembra venire riscoperta la loro importanza, che a mio avviso, almeno per gli addetti ai lavori,

non è venuta mai meno, rispetto a fattori di protezione da eventi calamitosi (basti pensare alla

protezione offerta da una campagna alla città rispetto ad un fenomeno di inondazione), come ristoro

e rifugio per numerose forme di vita, come già precedentemente espresso, e l’importanza sociale e

economica per la società umana.

Questi ambienti offrono luoghi di riposo e di svago dalle attività frenetiche che spesso la vita ci

impone oltre a numerosi servizi ecosistemici di rilevante importanza economica.


La protezione e la salvaguardia di tali paesaggi ed habitat è quanto mai auspicabile in virtù di un

utilizzo sempre più sostenibile e consapevole del territorio. Protezione da attuare con tutti i mezzi

giuridici, economici e sociali possibili al fine di incentivare delle best-practices con conseguente

ricaduta positiva sull’ambiente e sulla società umana.

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