A qualcuno è venuto il dubbio sul
fatto che un giornale come il nostro abbia sentito il bisogno di
occuparsi a inizio settembre del record d’incendi nel polmone verde
del mondo e ha voluto scrivercelo sui social. A questa domanda si
potrebbero dare molte risposte, tutte probabilmente dense di
significato. Una, in particolare, ci ha convinti a organizzare una
diretta facebook (chi l’avesse persa può agevolmente recuperarla)
e una conferenza stampa con la partecipazione del Wwf e di
Greenpeace. La sintesi, efficace, sta tutta nel titolo “Amazzonia,
deforestazione made in Italy”. Per amore di correttezza, il titolo
è quello del documentario di un giovane collega, Francesco
deAugustinis, che ha passato due anni tra Brasile e Italia per
realizzarlo. E ha voluto proporlo in anteprima a migliaia di lettori
del Salvagente. Un titolo, come avrete facilmente capito, che ci
riporta alle nostre responsabilità in quello che non ci sembra
esagerato definire un ecocidio. L’inchiesta giornalistica di
de Augustinis, ripercorre
quattro settori cruciali per i gioielli del made in Italy.
C’è
innanzitutto il legno ottenuto dalla deforestazione di terre che pure
dovrebbero essere protette e gli appetiti dei mobilieri italiani che
pur di acquisirlo a prezzi bassi chiudono più di un occhio sulla sua
provenienza. C’è il pellame bovino tanto caro alle nostre griffe
della moda, ottenuto dalle bestie che proprio nelle zone amazzoniche
sono portate a pascolare. C’è, ovviamente, la carne di cui
l’Italia è un grandissimo importatore e che finisce anche nella
tanto acclamata bresaola Igp tricolore.
E, una volta che gli
allevamenti avanzano e dietro di loro il fuoco toglie anche le ultime
tracce di quella foresta da cui dipende la salute del mondo (e caccia
popolazioni indios che da secoli vivono in simbiosi in quelle zone)
ecco la soia. Rigorosamente Ogm, ci mancherebbe, e destinata in
grandissima quantità ad alimentare gli allevamenti di ogni genere
della Penisola. E il cerchio si chiude su Parmigiano, Grana,
culatelli, salumi, mozzarelle tricolori.
Dunque anche noi c’entriamo,
seppur lontani migliaia di chilometri dal Brasile e dalla politica
del suo presidente Bolsonaro,
protagonista di un via libera a pesticidi, interessi terrieri e
industriali che forse neppure il peggiore colonialismo avrebbe
imposto alla sua terra. Se gli incendi sono triplicati rispetto allo
scorso anno, con numeri vicini al punto di non ritorno in tutto il
mondo, qualche responsabilità c’è anche nelle industrie italiane,
troppo vaghe nel prendere provvedimenti ed esigere garanzie sulle
materie prime che utilizzano. E c’è in Europa, tanto rigorosa nel
dettare standard commerciali ma decisamente miope e distratta quando
si tratta di assicurare la sostenibilità di ciò che si produce.
Anche in questo caso, come in molti altri, ogni acquisto, ogni
prodotto che mettiamo nel carrello è una scelta politica, un atto
che produce delle conseguenze. È la pressione dei nostri carrelli
della spesa spesso a fare la differenza, perfino quando gli interessi
in gioco sembrano più grandi di noi. Prova ne sia la scelta, fatta
nei giorni scorsi, da H&M, una catena non proprio ai vertici
delle classifiche di eticità, che ha deciso di non acquistare più
pellame dal Brasile fino a che non avrà la sicurezza che non viene
da zone deforestate (come circa il 60% di quello che viene
esportato). Sarà bene ricordarcelo (e ricordarlo ai produttori) ogni
volta che facciamo un acquisto.
dalla rivista Il Salvagente, ottobre 2019
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